Con l’emanazione del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, il Governo rifinanzia gli eventi di quarantena del settore privato, i congedi Covid-19 dei dipendenti con figli conviventi minori di anni 14 ed estende i trattamenti di integrazione salariale correlati all’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 sino a tutto il 31 dicembre 2021.
Si sblocca il divieto di licenziamento, dal 1° novembre 2021, per i datori di lavoro che non richiedono le ulteriori tredici settimane di cassa integrazione salariale in deroga e assegno ordinario.
Ulteriori nove settimane di cassa integrazione ordinaria sono state previste per il settore tessile ovvero per le imprese esercenti l’attività rientrante nei codici ATECO 13, 14 e 15.
Quarantena con sorveglianza attiva nel settore privato
L’art. 8, decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, estende il periodo di vigenza dell’art. 26, comma 1, del Decreto Cura Italia, prevedendo, sino al 31 dicembre 2021, l’equiparazione del periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori del settore privato alla malattia, ai fini del trattamento economico. Come per l’anno 2020, il periodo di quarantena, ancorché indennizzato alla stessa stregua della malattia, non è computabile ai fini del periodo di comporto.
Si supera, così, la preclusione comunicata dall’Istituto previdenziale con il messaggio 23 aprile 2021, n. 1667 ed il messaggio 6 agosto 2021, n. 2842, che negavano il riconoscimento della quarantena di cui all’art. 26, comma 1, decreto legge 17 marzo 2020, n. 19, relativamente all’anno 2021 per carenza di fondi stanziati.
Nessuna modifica viene operata rispetto al trattamento economico già riconosciuta per l’anno 2020. In particolare, l’abrogazione del comma 482, art. 1, legge 30 dicembre 2020, n. 178, non riguarda i lavoratori in quarantena previsti dal citato art. 26, comma 1, bensì le tutele per i lavoratori fragili non collocabili in smart-working, di cui ai successivi commi 2 e 2-bis. Il predetto comma 482, si occupava, infatti, di finanziare le tutele di cui al comma 481 – relative ai lavoratori fragili – per il periodo decorrente dal 1° gennaio 2021 e sino al 28 febbraio 2021. L’abrogazione appare, altresì, dovuta in ragione del complessivo rifinanziamento, per l’anno 2021, delle predette tutele previste dai primi due commi dell’art. 26 del Decreto Cura Italia ad opera del successivo, riscritto, comma 5.
Rimborso quarantena per i non aventi diritto alla malattia INPS
Il neo introdotto comma 7-bis, all’art. 26, decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, consente ai datori di lavoro del settore privato con obbligo previdenziale presso le gestioni INPS, con esclusione dei datori di lavoro del settore domestico, di ottenere un rimborso forfettario degli oneri sostenuti per le tutele di quarantena o di assenze dei lavoratori fragili ai sensi del comma 2 e 2-bis, riconosciute ai lavoratori non aventi diritto all’assicurazione economica di malattia presso l’INPS nella misura una-tanutm pari ad euro 600,00.
La richiesta dell’anzidetta indennità, riconosciuta per ogni singolo lavoratore, deve essere formalizzata dal datore di lavoro con apposita domanda telematica corredata da dichiarazione attestante i periodi riferiti alle tutele di cui all’art. 26, decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, e secondo le modalità ed i termini che verranno indicati dall’INPS con apposita circolare.
Congedi parentali Covid-19
Ai sensi dell’art. 9, decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, ai lavoratori dipendenti genitori di figlio convivente minore di anni quattordici, alternativamente all’altro genitore, è consentito di astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente alla durata della sospensione dell’attività didattica o educativa in presenza del figlio, nonché alla durata della quarantena del figlio disposta dall’ASL territorialmente competente a seguito di contatto ovunque avvenuto.
Tale beneficio è, altresì, riconosciuto ai genitori di figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104, a prescindere dall’età del figlio per i casi di accertata infezione da SARS-CoV-2, quarantena o sospensione dei servizi didattici o educativi in presenza o nel caso in cui il figlio frequenti centri diurni a carattere assistenziale per i quali sia stata disposta la chiusura.
Tale congedo potrà essere fruito su base giornaliera o oraria.
Per i periodi di astensione, il successivo comma 2, riconosce un’indennità pari al 50% della retribuzione calcolata secondo le indicazioni dell’art. 23, decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ad eccezione del comma 2, del medesimo art. 23.
Nel caso in cui i figli abbiano un’età compresa fra 14 e 16 anni, uno dei genitori, alternativamente, potrà astenersi dal lavoro senza corresponsione di retribuzione o indennità, né riconoscimento di contribuzione figurativa, con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
Cassa integrazione fino al 31 dicembre 2021
Le imprese di cui all’art. 8, comma 2, decreto legge 22 marzo 2021, n. 41, che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 possono presentare, per i lavoratori in forza alla data del 22 ottobre 2021, domanda di assegno ordinario o di cassa integrazione salariale di cui agli artt. 19, 21, 22 e 22-quater, decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, per una durata massima di tredici settimane nel periodo tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre 2021.
Di fatto, dunque, alle piccole imprese che ricorrono alla cassa integrazione in deroga e le imprese che possono accedere all’assegno ordinario sono stati garantiti i trattamenti di integrazione salariale per tutto l’anno 2021.
Le predette ulteriori 13 settimane sono riconosciute ai datori di lavoro ai quali sia già stato autorizzato il precedente periodo di ventotto settimane previsto dal decreto legge n. 41/2021.
Vengono, altresì, estese le domande di cassa integrazione ordinaria per le imprese di cui all’art. 50-bis, comma 2, decreto legge 25 maggio 2021, n. 73. Si tratta dei datori di lavoro del settore dell’industria tessile, delle confezioni di articoli di abbigliamento e articoli in pelle e pelliccia e delle fabbricazioni degli articoli in pelle e simili, rientranti nei codici ATECO 13, 14 e 15. A tali categorie di datori di lavoro sono, infatti, riconosciute ulteriori 9 settimane nel medesimo periodo tra il 1° ottobre 2021 ed il 31 dicembre 2021, decorso il periodo precedentemente autorizzato.
Per la fruizione dei nuovi trattamenti di integrazione salariale previsti dal decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, non è previsto il pagamento di alcun contributo addizionale.
Si rammenta che, come di consueto, le domande dovranno essere presentate all’INPS entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa. Inutilmente, a parere di chi scrive, anche questa volta, il legislatore ha specificato che in fase di prima applicazione, il termine di decadenza (…) è fissato entro la fine del mese successivo all’entrata in vigore del presente decreto (30 novembre 2021).
Si evidenzia che, sino al 31 dicembre 2021, i datori di lavoro o i loro intermediari potranno continuare ad utilizzare, per i pagamenti diretti dei trattamenti di integrazione salariale con causale Covid-19, i modelli SR41, così come espressamente previsto dal messaggio INPS 19 ottobre 2021, n. 3556.
Quanto al divieto di licenziamento generalizzato restano pochi spazi di interpretazione.
Ai sensi del comma 7, art. 11, del nuovo decreto legge n. 146/2021, “Ai datori di lavoro che presentano domanda di integrazione salariale (…) resta precluso l’avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, per la durata della fruizione del trattamento di integrazione salariale. Ai medesimi soggetti di cui al primo periodo resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (…) e restano altresì sospese le procedure in corso di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.
Facendo salve, sempre, le ipotesi di licenziamento motivate da cessazione definitiva dell’attività dell’impresa o dalla cessazione definitiva dell’attività conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, ovvero nelle ipotesi di liquidazione senza cessione d’azienda con conseguente trasferimento ex art. 2112, Codice Civile, o, in ultimo, delle ipotesi di accordo collettivo aziendale stipulato con le OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale con incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, la cessazione del rapporto di lavoro è strettamente correlata con le settimane di cassa integrazione previste dalla novella legislativa. In tal senso, l’atto datoriale di recesso per motivi oggettivi resta legato alla fruizione delle nuove settimane di cassa integrazione.
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