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Tassazione dei capitali, accordi con la Svizzera conformi al diritto comunitario


Dopo gli Accordi Rubik con Germania, Regno Unito e Austria, proseguono gli incontri con l’Italia per arrivare a un’intesa

/ Luca MIELE / Sabato 03 novembre 2012

In un periodo in cui i Governi sono fortemente interessati a eventuali maggiori entrate fiscali, è sempre più attuale il tema degli accordi con la Svizzera, Paese notoriamente “destinatario” di ingenti capitali detenuti da residenti in altri Stati. Anche in Italia, da più parti, è auspicata la firma di un accordo tra il nostro Governo e la Svizzera, con l’obiettivo di tassare i capitali dei cittadini residenti in Italia detenuti in quel Paese.

Per capire – in linea assolutamente generale – quali potrebbero essere i termini della questione, è utile ricordare che la Svizzera, nel 2011 e 2012, ha sottoscritto tre accordi bilaterali con Germania, Regno Unito e Austria (cosiddetti “Accordi Rubik”) che presentano alcuni profili comuni.
In estrema sintesi, gli accordi prevedono la tassazione dei redditi da risparmio corrisposti dagli istituti di credito svizzeri a cittadini tedeschi (inglesi o austriaci). La Svizzera applica un’imposta annuale, in una certa misura, sui redditi finanziari (interessi, dividendi, plusvalenze) prodotti dai patrimoni dei cittadini tedeschi e riversa tale imposta al Governo tedesco. L’imposta è anonima e ha natura “liberatoria”, nel senso che si sostituisce al prelievo che quei redditi avrebbero scontato in Germania in quanto, tendenzialmente, le aliquote applicate coincidono con quelle previste dalla legislazione interna tedesca.

Gli accordi prevedono anche una regolarizzazione per il passato dei patrimoni e dei redditi di varia natura mediante prelievo di una somma una tantum, la cui misura varia a seconda dell’entità delle consistenze e della durata della detenzione. Il meccanismo ricorda quello dello scudo fiscale a noi noto, ma con aliquote per la regolarizzazione molto più elevate.

Anche nel caso della regolarizzazione, le somme sono applicate dagli intermediari svizzeri e riversate ai Paesi che hanno stipulato gli accordi; peraltro, a garanzia dell’applicazione dell’accordo, gli istituti di credito svizzeri si sono impegnati a versare agli altri Paesi un anticipo della patrimoniale una tantum per la regolarizzazione del pregresso.

Evidentemente, la Svizzera chiede qualcosa in cambio. In primo luogo, quel Paese potrà preservare il segreto bancario; abbiamo visto che la sfera privata del cliente risulta tutelata.
In secondo luogo, gli accordi prevedono una maggiore semplificazione delle procedure operative e di autorizzazione per gli istituti di credito elvetici ad operare sul territorio tedesco (austriaco o del Regno Unito). Il buon esito dell’accordo dipende, ovviamente, anche dai controlli che l’amministrazione fiscale svizzera si è impegnata ad effettuare per garantire l’applicazione degli accordi stessi.
Di assoluto rilievo è il fatto che le richieste di informazioni alla Svizzera dovranno essere limitate e sufficientemente motivate; è esclusa, infatti, la richiesta indiscriminata e generalizzata di informazioni. Inoltre, a seguito degli accordi siglati con la Svizzera, Germania e Regno Unito si sono impegnati a non utilizzare in futuro le informazioni eventualmente in loro possesso acquisite illegalmente al fine di intentare procedimenti giudiziari contro istituti svizzeri o loro collaboratori.

Vedremo se nei prossimi mesi anche l’Italia deciderà di stipulare accordi con la Svizzera di analogo tenore e quali saranno le “poste” oggetto di scambio.

In linea del tutto generale, possiamo dire che simili accordi, tesi a preservare il segreto bancario, appaiono in antitesi con quanto indicato dall’OCSE in materia di trasparenza fiscale e di scambio di informazioni e possono sovrapporsi alle disposizioni previste dalla Direttiva risparmio (direttiva 2003/48/CE). Anche il Governo Italiano, in risposta all’interrogazione parlamentare presentata il 28 settembre 2011 dall’On. Vannucci, ha affermato che gli accordi appaiono “in controtendenza rispetto allo scenario dell’ultimo decennio di discussioni avutesi in ambito internazionale, finalizzate ad affermare i principi della trasparenza e dello scambio di informazioni quali strumenti di contrasto all’evasione fiscale”.

Va, tuttavia, osservato che, a seguito di alcune modifiche introdotte nel 2012 negli accordi tra Svizzera e Germania/Regno Unito, su “sollecitazione” della Commissione europea, la stessa ha ritenuto gli accordi modificati conformi al diritto comunitario. Gli interventi hanno riguardato l’innalzamento delle aliquote per la regolarizzazione dei capitali, la previsione di un prelievo in caso di eredità e l’esclusione dall’accordo Rubik dei pagamenti di interessi rientranti nelle previsioni dell’accordo UE-Svizzera sulla tassazione del risparmio.

 

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