"Ue, operazione keynesiana da 150 mld in 5 anni"
"Se l'Europa cambierà le sue politiche di rigore e si aprirà alla crescita "potremo fare un'operazione keynesiana straordinaria in cinque anni: più di 150 miliardi di euro".
Ma cosa significa "operazione keynesiana"?
Inizio da John Maynard Keynes, economista britannico, padre della macroeconomia e considerato uno dei più grandi e “rivoluzionari” economisti del XX secolo.
« Nel lungo periodo siamo tutti morti. »
John Maynard Keynes, risposta a coloro che criticavano l'applicabilità dei suoi modelli al lungo periodo
I suoi contributi e le sue elaborazioni della teoria economica hanno originato quella che è stata definita "rivoluzione keynesiana". In netto contrasto con la teoria economica neoclassica, ha più volte sostenuto la necessità dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di bilancio e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione.
Ma cos'è la domanda aggregata ?
Se il PIL (prodotto interno lordo) e l’occupazione dipendono dalla domanda, per aumentarli occorrerà quindi incrementare la domanda aggregata, cioè la domanda dell’intera nazione. In altre parole, per uscire da una crisi, è necessario che qualcuno spenda di più in modo da assorbire la produzione in eccesso, smaltire le scorte dell'invenduto ed eventualmente indurre le imprese a produrre di più. Essendo la domanda aggregata definita dalla seguente formula:
Domanda aggregata = Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni – Importazioni
Possiamo vedere come aumentare i vari addendi di questa somma, in modo da incrementare il totale e il risultato di essa.
Un primo modo per aumentare i consumi è diminuire le tasse, cosicché che i cittadini abbiano più reddito disponibile. Infatti diminuire le tasse sul reddito dei lavoratori dipendenti e auotnomi è molto più efficace: ad esempio aumentare di 100 euro il reddito netto di un lavoratore che guadagna 1.000 euro significa incrementare la domanda aggregata di circa 90 euro. Si riscontra che la propensione al consumo delle famiglie italiane diviene in tal caso maggiore di circa il 90%.
Per aumentare gli investimenti ovvero la spesa delle imprese volta ad aumentare la produzione, come ad esempio l’acquisto di nuovi macchinari, si può diminuire il tasso di interesse sui prestiti. E’ per questo che in genere le Banche centrali, in periodi di bassa crescita, riducono il tasso di interesse in modo tale che che le banche possano (o dovrebbero) a loro volta diminuire gli interessi per i clienti.
Se infine vogliamo aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni, possiamo diminuire il valore della nostra moneta rispetto a quelle estere (svalutazione). In questo modo per i consumatori stranieri le nostre merci saranno meno costose, mentre quelle provenienti dall’estero verso di noi lo saranno di più.
Tutte queste politiche sono efficaci in situazioni non troppo distanti dal pieno impiego delle risorse produttive. In una crisi arriva però un punto in cui tutto ciò non basta più. Anche diminuendo il tasso di interesse a zero, le imprese non chiederanno prestiti e non faranno investimenti: nessuno aumenta la sua produzione se prevede di non poterla smaltire. Le imprese preferiranno quindi tenere il poco denaro liquido invece di investirlo (“trappola della liquidità”) oppure entreranno in crisi di liquidità. Anche i consumatori, se sono spaventati dal futuro, tenderanno (se il loro reddito lo permette) a risparmiare percentuali maggiori della norma: saranno propensi a non spendere il poco denaro che rimane a "fine mese" per la scarsa fiducia nel futuro. Riguardo i cambi, non si può oltrepassare un certo limite: se si svaluta troppo la moneta, le merci provenienti dall’estero costeranno troppo e alcune di esse sono essenziali per la stessa produzione (come, ad esempio, il petrolio).
In questa situazione quindi le politiche monetarie della Banca centrale o le politiche sul lato del prelievo impositivo non bastano più. Serve agire sul parametro che rimane libero: la spesa governativa, la spesa pubblica, avnedo la possibilità di agire con una certa libertà sul debito pubblico.
Si può ridurre il debito pubblico (o meglio il rapporto debito/PIL) aumentando la spesa pubblica, finanziata con le tasse? Sì, si può.
A causa del moltiplicatore keynesiano, l'effetto depressivo dovuto all'aumento delle tasse è minore dell'effetto espansivo dovuto alla spesa pubblica. Pertanto è possibile, anche mantenendo il pareggio di bilancio, aumentare il prodotto interno lordo e così ridurre il rapporto debito/PIL.
Non può che far piacere ascoltare dal capo del governo, Renzi, un aggettivo – keynesiano – che tra i suoi amici liberisti suscita l’orticaria.
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