Molte aziende, al fine di promuovere la propria immagine o di consolidare i rapporti con le persone che fanno parte dell’organizzazione aziendale, sono solite omaggiare i propri clienti e/o dipendenti di buoni o voucher utilizzabili per l’acquisto di determinati beni o servizi. Rispetto all’omaggio tradizionale (tipicamente il cesto natalizio) sono infatti di recente apparsi sul mercato strumenti promozionali che vengono omaggiati prevalentemente ai propri clienti, ma che vengono anche utilizzati quale forma di incentivazione del proprio personale dipendente, e che assicurano la fruizione di determinati servizi o l’acquisto di determinati beni.
E’ il caso, ad esempio, dell’azienda che omaggia “cofanetti regalo” in occasione di ricorrenze o festività. Detti buoni regalo possono essere spesi per ottenere beni o servizi, con diverse aliquote e regimi Iva applicabili (degustazioni gastronomiche, trattamenti presso centri benessere, biglietti per eventi sportivi o musicali, eccetera).
La disciplina di tali strumenti ha vissuto, in particolare sotto il profilo del loro corretto inquadramento fiscale, momenti di incertezza, fino a quando la stessa ha formato oggetto di uno specifico intervento da parte dell’Agenzia delle entrate con la R.M. 21/E del 22 febbraio 2011.
In tale documento di prassi, limitato all’indagine circa il corretto trattamento ai fini Iva, l’Agenzia delle entrate ha esteso alla categoria dei buoni acquisto o regalo, tra cui si ritiene rientri a pieno titolo anche la casistica delle cosiddette “smart box” (acquistabili presso le librerie, le edicole, gli ipermercati, ecc.), le considerazioni a suo tempo effettuate dall’Amministrazione finanziaria in merito ai c.d. “buoni benzina” con le circolari 1° agosto 1974 n. 502598 e n.27 del 9 agosto 1976. In virtù di tale assimilazione i voucher utilizzabili per l’acquisto di beni e/o servizi vanno considerati quali semplici documenti di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 del Codice civile e non, invece, quali titoli rappresentativi di merce.
In base alla seguente interpretazione, dunque, la circolazione del buono non comporta un’anticipazione della cessione del bene e non assume, pertanto, rilevanza ai fini Iva. Tale conclusione appare, inoltre, ulteriormente ribadita nel caso specifico delle “smart box”, operazione nella quale è prevista la possibilità per il consumatore di scegliere il bene da acquistare tra una moltitudine di beni/servizi, situazione che renderebbe comunque impossibile l’individuazione a priori del bene oggetto di cessione. Il voucher contenuto nella “smart box”, quindi, deve essere considerato dal singolo venditore quale una diversa modalità di pagamento da parte del cliente dell’intero prezzo di vendita del bene o servizio acquistato.
Al momento della vendita del bene, quindi, il venditore è tenuto ad emettere nei confronti del cliente che ha presentato il voucher, scontrino/fattura con riferimento all’intero corrispettivo di vendita, con conseguente addebito dell’Iva sull’intera base imponibile, prescindendo dal fatto che parte del corrispettivo verrà pagato successivamente dal soggetto emittente del voucher. Il successivo rimborso da parte della società emittente del valore facciale del voucher costituisce, invece, un’operazione non rilevante ai fini Iva ai sensi dell’art.2 terzo comma lettera a) del DPR 633/1972 (cessioni aventi ad oggetto denaro o crediti in denaro), come evidenziato dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione in commento.
Sotto il profilo contabile, quindi, il venditore registrerà:
- in avere di CE il corrispettivo di vendita al netto dell’Iva;
- in avere di SP l’Iva a debito relativa al corrispettivo di vendita;
- in dare di SP il credito verso l’emittente del voucher, ove lo stesso copra l’intero prezzo di vendita (corrispettivo + Iva); in caso di copertura parziale, la differenza pagata dall’acquirente verrà contabilizzata nel conto della cassa/banca a seconda della modalità di pagamento adottata;
- al momento del rimborso del voucher da parte dell’emittente, richiesto dal venditore tramite un apposito documento non rilevante ai fini Iva, si procederà a stornare il relativo conto di credito e a movimentare il conto di banca.
Va evidenziato che, laddove l’emittente richieda al venditore la corresponsione di una commissione per l’incremento del giro d’affari conseguente all’emissione delle “smart box”, tale commissione dovrà essere fatturata e assoggetta ad Iva, come peraltro specificatamente evidenziato nella R.M. n. 21/E/2011.
La commissione costituirà, invece, un costo dell’esercizio.
A decorrere dal 1/01/2016 la normativa prevede che le erogazioni liberali in natura (sotto forma di beni, servizi, prestazioni e opere) da parte del datore di lavoro possano avvenire per mezzo di buoni d’acquisto, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale (art.51, comma 3-bis del TUIR). Tali documenti devono essere nominativi, non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare, non possono essere monetizzati o ceduti a terzi e devono dare diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare (art. 6, co. 1, D.M. 25/03/2016). In deroga a quanto appena detto, più beni e servizi erogati liberamente dal datore di lavoro possono essere cumulativamente indicati in un unico documento di legittimazione purché il valore complessivo degli stessi non ecceda il limite di euro 258,23 (art. 6, co. 2, D.M. 25/03/2016).
Ai fini della determinazione dell’eventuale reddito del lavoratore dipendente, l’art.51 comma 3, ultimo periodo del TUIR, prevede che il valore nominale dei buoni d’acquisto non concorre a formare il reddito se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta ad euro 258,23. In busta paga tale valore deve risultare quale importo esente e deve essere indicato a che titolo è avvenuta l’erogazione. Il superamento, durante lo stesso esercizio, per il singolo dipendente della franchigia di euro 258,23 provoca la ripresa a tassazione (come reddito di lavoro dipendente) di tutti i benefit erogati gratuitamente dall’impresa durante l’esercizio. Si precisa che nel computo del limite di 258,23 euro rientrano solo i benefit gratuiti (liberalità) dotati di un proprio valore economico (tali “valori” comprendono anche i beni ceduti ed i servizi prestati al coniuge del dipendente o a familiari, anche non fiscalmente a carico, del medesimo (Ministero delle finanze, Circolare 23/12/1997, n.326/E, par. 2.3.1), o il diritto di ottenerli da terzi ai sensi dell’art.51, comma 3, TUIR) e non quelli concessi come parte della retribuzione (per es. per l’auto aziendale concessa in uso al dipendente per accordo contrattuale).
Dal punto di vista del datore di lavoro le erogazioni liberali di beni, prestazioni, opere e servizi (anche mediante buoni spesa), sono interamente deducibili dal reddito d’impresa in quanto rientrano nelle spese per prestazioni di lavoro dipendente.
Si applica infatti l’art.95, comma 1 del TUIR per cui “Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’art.100, comma 1” (quest’ultima disposizione prevede peraltro delle fattispecie di liberalità che non hanno nulla a che vedere con i buoni spesa alimentari). La deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro dipendente è soggetta dunque alla seguente disciplina: salvo alcune deroghe particolari, sono deducibili nella determinazione del reddito di impresa tutte le spese per prestazioni di lavoro, incluse quelle sostenute sia in denaro sia in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori. Per ciò che concerne le liberalità, si noti come la norma non richieda che esse abbiano come beneficiari tutti i dipendenti o particolari categorie di dipendenti o siano sostenute per specifiche finalità. Ne consegue che, a prescindere dalla loro finalità, le liberalità sono interamente deducibili anche nell’ipotesi in cui siano sostenute a favore di uno specifico dipendente. Ai fini della deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro è irrilevante la circostanza che esse concorrano, o meno, a formare il reddito nei confronti dei lavoratori dipendenti.
Nel caso in cui i buoni spesa, acquistati per essere donati ai dipendenti, vengano elargiti a clienti o fornitori per finalità promozionali o di pubbliche relazioni, la spesa sarà deducibile con il limiti delle spese di rappresentanza di cui all’art. 108, comma 2 del TUIR.
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