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Smart working

Conciliare, innovare e competere. Sono questi i tre diversi obiettivi, apparentemente antitetici, dello smart working che si configura come un nuovo approccio all’organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera complementare, con quelle dell’impresa.

Il concetto di smart working ricomprende molteplici aspetti. Si passa dalla flessibilità nella prestazione lavorativa di tipo orario oppure di tipo spaziale, fino a forme di welfare aziendale per facilitare i lavoratori genitori o impegnati in forme di assistenza parentale.

Lo smart working implica un nuovo modello di organizzazione del lavoro, in cui sono fondamentali questi tre elementi:
  • Risorse umane. È necessaria una nuova ottica da parte del personale che deve essere pronto a rivedere il proprio ruolo in un’ottica di flessibilità e disponibile a creare maggiori sinergie con il management.
  • Tecnologia.  Le modalità di lavoro sono “agili” e tecnologicamente avanzate e l’accesso ai dati aziendali deve essere possibile da remoto, consentendo forme di lavoro più efficienti e altamente personalizzate.
  • Monitoraggio costante. È indispensabile un’analisi dei risultati del lavoro per valutare l’efficienza del personale a seguito dell’introduzione del nuovo modello organizzativo del lavoro.
In un quadro normativo ancora non definito e in attesa dell’attuazione di una legge organica e sistematica che disciplini tale istituto, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro, attualmente, è affidata alla normativa dei congedi genitoriali tramite l’applicazione delle disposizioni del D.lgs. 151/2001; mentre la flessibilità oraria viene spesso identificata con il solo part-time, oppure, con la banca ora in alcuni settori.

Le disposizioni comunitarie sul lavoro innovativo e agile (Accordo Quadro del 16 luglio 2002) non prevedono l’adozione di una direttiva sul tema, ma lasciano che la regolamentazione venga definita tramite la contrattazione collettiva di ogni Stato membro. In Italia, la contrattazione collettiva, in particolare aziendale, ha assunto un ruolo fondamentale nella sperimentazione di nuovi strumenti, soprattutto rispetto al telelavoro su cui le parti sociali hanno tracciato una cornice d’azione con l’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004.

In tale ambito il telelavoro viene inteso come una particolare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e non come una tipologia contrattuale a sé. Per lavorare al di fuori dei locali e dell’organizzazione standard dell’impresa, ci si avvale delle tecnologie dell’informazione sempre più sviluppate grazie all’Internet of Things. Il risultato è rendere la prestazione lavorativa slegata da vincoli ambientali o temporali.

Nel corso del tempo il telelavoro si è differenziato in base ai settori di attività, passando da quello presso il domicilio del lavoratore a quello mobile, arrivando ai cd. “uffici virtuali”, dove l’intera organizzazione aziendale si base sul telelavoro e non riguarda solo particolari lavoratori o figure professionali.

In Italia, l’approccio prevalente è quello di considerare il telelavoro come un ausilio per personale che necessita di specifiche attenzioni (come dimostrano le sperimentazioni avviate dalle Pubbliche Amministrazioni), in realtà l’Accordo Interconfederale non prevede limitazioni. Infatti, l’elemento fondamentale per l’adozione di misure di telelavoro rimane la volontarietà del datore di lavoro e del dipendente. Nasce, pertanto, dall’iniziativa delle parti la scelta di optare per il telelavoro, la quale può manifestarsi sia al momento dell’assunzione che successivamente.

L’Accordo definisce anche ulteriori aspetti, oltre il principio di volontarietà:
  • ogni questione in materia di strumenti di lavoro e responsabilità deve essere chiaramente definita prima dell’inizio del telelavoro
  • il datore di lavoro fornisce al telelavoratore i supporti tecnici necessari allo svolgimento della prestazione lavorativo, salvo che il dipendente non utilizzi mezzi propri
  • la responsabilità della fornitura, installazione e manutenzione degli strumenti necessari spetta generalmente al datore di lavoro. Mentre è obbligo del telelavoratore utilizzarli in modo lecito ed averne cura
  • il datore di lavoro provvede alla compensazione o copertura dei costi direttamente derivanti dal lavoro, in particolare quelli relativi alla comunicazione, quando la prestazione è continuativamente svolta tramite telelavoro
  • il datore di lavoro è responsabile della tutela della salute e della sicurezza professionale del telelavoratore, deve pertanto informare il telelavoratore delle politiche aziendali in materia, in particolare in ordine all’esposizione al video. Il telelavoratore è tenuto ad applica correttamente le direttive aziendali al riguardo.
Quali sono le opportunità e le possibili criticità? Per il lavoratore un maggiore controllo nel bilanciare il rapporto lavoro-famiglia e i ritmi lavorativi con quelli giornalieri, implica un aumento della propria soddisfazione lavorativa con ripercussioni positive anche in termini di produttività e contenimento dei tassi di assenteismo. Dall’altro lato, gli aspetti negativi riguardano un minor coinvolgimento nelle dinamiche di apprendimento del know-how attraverso l’osservazione dei colleghi e l’isolamento e la mancata integrazione rispetto alla “squadra” di lavoro.

Si tratta di aspetti che possono essere valutati e risolti in sede di definizione dell’organizzazione del telelavoro, specificando le modalità di coordinamento tra unità operativa e lavoratore. In particolare, la valutazione delle performance del telelavoratore è ancor più indispensabile in questo modello organizzativo. A tal fine risulta utile l’individuazione di indicatori o parametri obiettivi quali: numero email inviate, numero telefonate svolte, numero di clienti e la loro soddisfazione ecc.

E’ fondamentale per un positivo esito dello smart working il confronto costruttivo delle parti sociali sulle modalità organizzative e la comunicazione tra i soggetti coinvolti così come indicato nelle disposizioni comunitarie.  

 
La Legge n.208/2015 ha previsto un particolare regime fiscale di vantaggio per le imprese che erogano premi di produttività in forza a contratti aziendali o territoriali, stipulati secondo le disposizioni dell'articolo 51 del Decreto Legislativo n. 81/2015. La Legge di Bilancio 2017 ne ha modificato la disciplina, ampliandone l'ambito di applicaziome.
Sui premi aziendali legati ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili, sarà applicata un’imposta sostitutiva - dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali- pari al 10 per cento, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro.
Tale limite sarà elevato a 4.000 euro per le aziende che coinvolgono i lavoratori nell'organizzazione del lavoro in maniera paritetica.
La misura interesserà il solo settore privato e riguarderà coloro con un reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a euro 80.000 nell'anno precedente.
I criteri di misurazione e le modalità attuative, compresi gli strumenti di partecipazione all'organizzazione del lavoro, sono stati definiti nel Decreto Interministeriale 25 marzo 2016.

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